La punizione

Oggi, contrariamente a non moltissimi anni fa, la punizione è considerato un comportamento, per lo meno, disdicevole se non addirittura criminale. Si è consolidata l’idea che il bambino sia un essere fragile, incapace di interagire proficuamente con la realtà e con le frustrazioni che l’esperienza produce. Da qui nasce l’idea che l’obbiettivo primario dell’educazione sia quello di evitare al massimo grado che il bambino viva l’esperienza del fallimento, dell’errore e della frustrazione.

Oggi, contrariamente a non moltissimi anni fa, la punizione è considerato un comportamento, per lo meno, disdicevole se non addirittura criminale. Si è consolidata l’idea che il bambino sia un essere fragile, incapace di interagire proficuamente con la realtà e con le frustrazioni che l’esperienza produce. Da qui nasce l’idea che l’obbiettivo primario dell’educazione sia quello di evitare al massimo grado che il bambino viva l’esperienza del fallimento, dell’errore e della frustrazione. Si mette pertanto in dubbio l’efficacia, non solo della punizione, ma anche di ogni intervento che potrebbe inibire una presunta “libera e spontanea espressione del bambino” che, da sola, basterebbe per farlo crescere in modo armonico. Certo, in confronto ai tempi nei quali il bambino era considerato un essere imperfetto a cui imporre, con tutti i mezzi, comportamenti capaci di deviare, in senso positivo, le sue cattive inclinazioni, si tratta certamente di un notevole passo avanti, ma, come spesso accade, bisogna evitare di commettere errori eguali e contrari a quelli che cerchiamo di evitare.

In realtà, il bambino ha un solo bisogno fondamentale: sentirsi amato e protetto, sentire che c’è qualcuno che si prende cura di lui. Sembrerebbe una cosa scontata ma ci sono delle insidie, delle trappole che riguardano la nostra capacità di amare. Allora bisogna dire che, ad esempio, l’amore non può essere sinonimo di acquiescenza e che il confronto, finanche il conflitto, non sono il contrario dell’amore ma, addirittura, ne costituiscono una componente essenziale.

Qualunque tipo di legame affettivo implica, non già l’assenza di problemi e difficoltà, ma la capacità di poterli superare; non sempre la cosa più giusta da fare è assecondare, facilitare, lasciar fare oppure evitare situazioni difficili: qualche volta bisogna mettersi, per così dire, di traverso.

E di traverso, per l’appunto, spesso ci si mette la realtà, nel rapporto con la quale ci capita a volte di commettere degli errori che, nell’apprendimento, hanno l’insostituibile ruolo di fornirci le informazioni necessarie per poter crescere. Popper ci ha insegnato quanto possa essere più utile la falsificazione piuttosto che la verifica. Noi apprendiamo per tentativi ed errori e se non riconosciamo o ci nascondono l’errore e quindi non percepiamo la conseguente frustrazione, ci viene a mancare un tassello fondamentale per rendere il nostro apparato cognitivo più adeguato ed efficace. In altri termini, errore e frustrazione sono da considerare informazioni che ci vengono dal feed back da parte della realtà, necessari per apprendere.

In questa ottica, la punizione deve essere intesa come una sorta di sostitutivo dell’errore, da utilizzare nel caso in cui la realtà non ci rimanda direttamente un messaggio di errore. Dunque la domanda non è “punizione sì o no” ma diventa “punizione quando e come”.

In merito al quando va subito detto che la punizione deve essere utilizzata come ultima ratio, solo ed esclusivamente quando è impossibile, per il bambino, riconoscere un comportamento come sbagliato. Qualche esempio può essere utile. Se il bambino, giocando, sta cercando di mettere un triangolo in uno stampo quadrato, si rende perfettamente conto che sta sbagliando e realizza che quella forma (il triangolo), non entra nel buco quadrato. Ad un certo punto, grazie all’errore commesso, cambierà la forma o cercherà nello stampo quello in grado di contenere il suo triangolo. È evidente che, in questo caso, non c’è bisogno di nessuna punizione: è la realtà che si incarica di indicare l’errore al bambino. Per inciso, questo esempio mi torna utile per sottolineare quanto sia importante che il bambino non riceva nessun aiuto concreto. Va certamente incoraggiato e stimolato a giocare, ma non dobbiamo in nessun modo sostituirci a lui, non dobbiamo approvare quando sbaglia, non dobbiamo cercare di evitargli la frustrazione perché è proprio grazie ad essa che il bambino imparerà a distinguere le forme. Una situazione diversa è quella in cui il comportamento messo in atto è, ad esempio, moralmente sbagliato, come quando il bambino ruba qualcosa a qualcuno. In questo caso non abbiamo nessuna frustrazione, anzi il bambino è gratificato dal fatto di possedere qualcosa che non gli apparteneva. La realtà non dà un feed back di errore, in questo caso è utile la punizione e, a questo punto, la questione è “come?”.

In questa prospettiva, è assolutamente necessario ridurre al minimo la possibilità che il bambino interpreti la punizione come una reazione emotiva e arbitraria dell’adulto, cercando di avvicinarsi alla situazione ideale per cui essa deve essere vista come la naturale e ovvia conseguenza della sua azione. Urlare e agitarsi non è solo inutile ma può addirittura essere controproducente perché la paura è l’emozione meno utile al fine di apprendere dall’errore. Un genitore che punisce in preda all’ira, paradossalmente, viene visto dal bambino come insicuro e debole, sensazioni che non rassicurano il bambino e gli impediscono di trarre tutte le informazioni che potrebbe dall’errore commesso. L’unica forza che il bambino attribuisce al genitore, in questo caso, è quella fisica, bruta, il che porta il bambino a attribuire la reazione del genitore ad un suo stato d’animo e non al comportamento che ha avuto, portandolo a difendersi e, molto difficilmente, elaborerà strategie efficaci. Va da sé che, in ogni caso, sono escluse le punizioni corporali.
È qui opportuno ricordare che per il bambino è molto importante percepire i propri genitori come sicuri di sé, capaci di sapere sempre come funzionano le cose che, invece, ai bambini rimangono vaghe e inspiegabili. È molto rassicurante sapere che c’è qualcuno che sa sempre, con certezza, interpretare la realtà, anche se, qualche volta, è contraria a quello che il bambino vorrebbe. La punizione, pertanto, deve essere somministrata mantenendo un atteggiamento serio ma calmo in modo da comunicare che non è un gioco ma, allo stesso tempo, non è neanche la fine del mondo. Riferendoci all’esempio precedente, un buon metodo sarebbe quello di abituare il bambino al fatto che ogni volta che prende qualcosa non suo, gli si toglie qualcosa di suo, facendo attenzione a costruire uno stretto rapporto di causa-effetto tra i due eventi (rubare-perdita).
Un altro elemento da tenere molto in considerazione riguarda il fatto che il bambino non dovrebbe mai sentirsi giudicato e punito per quello che è ma sempre e soltanto per quello che ha fatto. Lasciarsi scappare frasi come “ma sei stupido?” o “sei un incapace”, specialmente se ripetute nel tempo, ha degli effetti devastanti nel bambino. Oltre, naturalmente, a creare seri problemi nella costruzione della propria autostima, dal punto di vista che analizziamo qui, il rapporto tra la punizione e il comportamento salta completamente. Occorre, se proprio necessario, trasformare la frase in, ad esempio, “hai fatto una cosa stupida” oppure “in questa cosa non sei riuscito”. È possibile dimostrare di poter correggere un comportamento stupido ma è impossibile dimostrare di non essere stupido: il bambino è messo all’angolo, senza difese e, ovviamente, non impara niente.
Un’altra importante funzione della punizione è quella di alleviare, nel bambino, il senso di colpa. L’espiazione, per così dire, pareggia i conti e non lascia strascichi di rimorsi e recriminazioni: tutto deve tornare come prima e ci si mette una pietra sopra. Si dà per scontato che il bambino ha appreso una cosa importante e non ha senso tornarci sopra o prolungare ulteriormente la predica, mettendo in atto così un comportamento pleonastico e potenzialmente controproducente.
Abituare il bambino all’errore, al fallimento e alla punizione è un presupposto essenziale. Mi riferisco al fatto che il bambino deve interpretare queste situazioni come normali e frequenti accadimenti della vita quotidiana. Situazioni, cioè, che capitano a tutti e non soltanto a lui: anche gli adulti sbagliano, falliscono e sono puniti e sanno come superare l’inevitabile frustrazione che ciò comporta.
In conclusione, la punizione, se applicata solo ed esclusivamente quando è strettamente necessaria e nel modo corretto, costituisce un importante strumento per la crescita personale del bambino e anche del rapporto tra lui e chi se ne occupa.

 dott. Adelio Bravi