La pesantezza dei cibi light

Ad ogni cambio stagione, in prossimità della primavera o dell’estate, subito dopo i rientri dalle festività, inizia la corsa dell’ultimo minuto alla ricerca di leggerezza per rimettersi in forma. Ecco quindi che si ricorre alla “dieta” che sempre più negli ultimi anni, ha assunto quel concetto di privazione, rinuncia, costrizione, o il più famoso “da lunedi”, dove l’alternanza tra periodi di restrizione alimentare e sfoghi senza controllo, ha creato un’idea confusa in merito all’alimentazione, con la conseguente incapacità di gestire la propria salute.

Se da un lato l’industrializzazione alimentare ha consentito di soddisfare esigenze e bisogni con grande praticità, questo può essere anche un contro, considerando che per agire sulla palatabilità e il sapore, si utilizzano negli alimenti “insaporitori” utili a tale scopo, che non sempre giovano alla salute. Per mantenere quindi, durante la “dieta” gli stessi identici sapori, si rimedia con il cibo light che ha però di contro l’artificialità del gusto e del prodotto stesso: togliere il grasso, aggiungere addensanti, ridurre lo zucchero, regolare il dolcificante tutto a discapito del gusto o del potere nutritivo finale dell’alimento.

Con il termine light si intendono quei cibi che sono stati pensati e realizzati per ridurre l’apporto calorico o per alleggerirli

di quelle componenti nutrizionali considerati più dannose in termini di salute come i grassi o gli zuccheri semplici. Da disposizione europea del 2006, un alimento è definito light quando ha perso almeno il 30% del suo apporto calorico se paragonato ad un omologo classico di partenza, quindi spesso il contenuto in calorie di un alimento light è uguale o poco inferiore al prodotto equivalente “tradizionale”.

Eliminare un nutrimento fondamentale come il grasso (come gli alimenti con dicitura 0%) significa sia eliminare una buona quota di nutrienti importanti come le vitamine liposolubili, sia ridurre il suo potere saziante, in favore di zuccheri aggiunti per bilanciare, che creano invece alterazioni di picchi in salita ed in discesa di glicemia e che lasciano più senso di fame di prima.

In alternativa, per indicare “senza zuccheri aggiunti” si inseriscono invece dolcificanti, ma non si parla di alimenti naturalmente privi di grassi, ma modificati appunto nella loro componente chimica (nel contenuto di zuccheri i grassi) al fine di ridurne l’apporto calorico.

In definitiva, i prodotti light subiscono forti processi di trasformazione, con numerose trasformazioni il cui accumulo nell’organismo non è salutare.

Inoltre, queste trasformazioni alimentari, tipiche anche dei cibi ultra-processati e quindi molto lavorati, portano alla perdita di componenti quali vitamine, minerali, aromi e sapori.

Gli alimenti light possono aiutare in alcuni casi particolari e definiti, dove è necessario abolire in modo drastico alcuni nutrienti perché particolarmente pericolosi.

Per esempio lo zucchero semplice nei diabetici, il colesterolo negli infartuati o cardiopatici e iper-colesterolemici, il sodio negli ipertesi, l’eccesso di alcol in chi soffre di patologie epatiche.

La valutazione degli alimenti: meglio vario, colorato ed equilibrato, piuttosto che light.

È opportuno quindi che i cibi light inseriti all’interno della dieta siano opportunamente valutati, affinché non si cada nell’errore di credere che il solo fatto di assumerli faccia perdere peso. Seguire uno stile di vita sana, soprattutto a livello alimentare, significa alimentarsi correttamente tanto dal punto di vista quantitativo quanto qualitativo. Potrebbe essere una buona idea quindi, consumare nelle opportune quantità, un cibo che non per forza riporti la dicitura light, ma imparare a nutrirsi in maniera variegata, colorata ed equilibrata.

a cura del Dott.ssa Cristiana Della Peruta